Dopo l’ILVA, arrivano le grane della Telecom e dell’Alitalia. Si tratta quasi sempre degli stessi problemi e degli stessi attori- ha dichiarato Angelo Sollazzo, della Segreteria Nazionale del PSI-.
Non ci voleva molto a rendersi conto che senza una vera politica industriale il nostro Paese poteva divenire preda di potentati economici stranieri o alla meno peggio gli industriali nostrani
si comportavano come veri padroni spolpando all’osso le loro aziende, per fini di solo arricchimento personale.
L’Italia da Paese industriale avanzato con grandi qualità nel settore delle manifatture sta subendo un processo di deindustrializzazione , divenendo un solo erogatore di servizi.
I settori strategici sono stati dimenticati o affidati a personaggi non proprio cristallini.
L’acciaio non può essere cosa privata della famiglia Riva e vista la sua rilevanza nell’economia nazionale ed europea non si comprende cosa si aspetti a nazionalizzare subito il settore.
La proprietà ha già fatto tutti i danni possibili, il resto lo sta facendo il Governo con il suo procedere alla camomilla democristiana.
La Telecom era un fiore all’occhiello delle telecomunicazione. Acquistava reti estere, aveva grandi capacità innovative, poi per un mistero irrisolto arriva un capitano coraggioso, tal Colaninno, la compra in modo a dir poco strano, e la ricede in modo altrettanto strano. Telecom perde colpi e diventa da predatrice a preda. Il ridicolo è che il nostro Paese ha finanziato l’uscita dalla crisi della Spagna, che ha dato finanziamenti alle proprie aziende che ora stanno comprando le nostre. Insomma ci comprano con i nostri soldi. Stessa sorte per l’Alitalia, non venduta ai francesi per difenderne l’Italianità, con lo stesso capitano coraggioso Colaninno che interviene, allo stesso modo, e che ora si ritrova al punto di partenza con la necessità di essere acquistata. Colaninno figlio, Matteo, responsabile economico PD, forse dovrebbe dare qualche spiegazione al popolo della sinistra.
Certamente non si comprende che il Fondo Strategico Italiano, che fa capo al Tesoro, stia immobile. Questo sarebbe il momento giusto per intervenire evitando tracolli e nuova disoccupazione.
Non si tratta di ritornare all’IRI, che non sarebbe male, visti i precedenti, ma di difendere l’italianità di aziende che operano in settori strategici della nostra economia, con buona pace dell’Europa che tace con i forti e grida con i deboli. La Cassa Depositi e Prestiti, i vari Fondi, a cominciare da quello, ottimo, per le Infrastrutture di Vito Gamberale, avrebbero un ruolo fondamentale per inaugurare una nuova stagione della politica industriale italiana. Dopo Mani Pulite iniziò il saccheggio dell’industria nazionale, come ricordato di recente da Rino Formica . Le privatizzazioni assurde di Romano Prodi, la vendita delle Banche( si ricordi la svendita del Banco di Napoli tra Dini e Ventriglia), il regalo dell’Alfa Romeo alla FIAT, la rinuncia ad un vero Bancomat come gli Autogrill e le Autostrade, le lenzuolate di Bersani, hanno ridotto il nostro sistema industriale al lumicino.
Ora potrebbe toccare a Finmeccanica, all’ENI, all’Enel etc., visto che la FIAT già non è più italiana. I socialisti avevano ragione nel creare e difendere le Partecipazioni statali.
In tale marasma, la politica si perde dietro le vicende di Berlusconi, al dilemma Renzi o non Renzi. E’ una sciagura.
Angelo Sollazzo
5 ottobre 2013